lunedì 28 marzo 2011

Vallericcia un luogo da salvare



Vallericcia un luogo nei miei ricordi
Vallericcia è una vallata sita ai piedi della città di Ariccia e ricade nel suo territorio comunale, la valle è stata originata da un antico bacino lacustre formatosi con le vicende del Vulcano Laziale prosciugato in età romana e medioevale. A Vallericcia si trovano i resti della città latina di Aricia. Anticamente la depressione di Vallericcia era occupata, almeno parzialmente, da un lago vulcanico, simile ai due vicini laghi di Albano e di Nemi. L'ipotesi è confermata dalla periodica ricomparsa di un bacino lacustre nella parte più depressa della valle, in località Pantanelle. Un lago o pantano è menzionato in alcuni atti notarili del 1223, del 1462 e del 1630, mentre lo storico e canonico settecentesco Emanuele Lucidi afferma che il 17 gennaio 1793 con grande sorpresa degli ariccini comparve un laghetto in Vallericcia, originato dall'intasamento di alcuni canali di scolo e sgombrato il 4 febbraio dello stesso anno.
Per evitare l'allagamento della valle già in età antica fu scavato un sistema di canali di scolo nella valle che portavano tutti ad un emissario posto in località Ginestreto che liberava le acque verso il mar Tirreno in direzione sud-ovest. Alcune fonti del 1600 sostengono che queste acque formavano il leggendario fiume Numico, che bagnava Lavinium, antica capitale latina fondata da Enea ed identificata comunemente con Pratica di Mare. A Vallericcia sfocia anche l'emissario del lago di Nemi, scavato anch'esso in età antica ma non accomunabile con la perfetta tecnica costruttiva dell'emissario del lago Albano.
La valle nel punto più stretto è anche attraversata dal famoso Ponte monumentale di Ariccia.
Passeggiando sul ponte monumentale si gode ad ovest un paesaggio mozzafiato che si stende su questa valle agricola, Vallericcia, e poi giù fino al mare, si può sostare interminabili minuti a guardare fin dove l’occhio si perde e vagano i pensieri, come ad osservare un quadro, in una specie di sindrome di Stendhal.
Non posso fare a meno di fermarmi qualche minuto ogni volta che attraverso quel ponte a piedi. E lì respirare il fresco dell’aria che proviene da quella striscia blu che si stende all’orizzonte appena dopo la costa.
Poi torno con lo sguardo su questa valle, agricola per destinazione, punteggiata qua e la di case e con tante parti coltivate; ecco laggiù un vigoroso vigneto, un ricco orto, una piantagione di saporiti broccoli, e più in qua sulla destra del nostro ideale skyline, vicino a quella casa inerpicata e abbracciata sul costone, un uliveto, quello dei miei genitori, dei miei nonni ed ancor prima dei miei bisnonni; questo fazzoletto di terra appartiene alla mia famiglia dal lontano 1903. E’ qui che la mia mente corre indietro nel tempo, vedo i miei bisnonni alzarsi la mattina presto malgrado il freddo pungente dell’inverno, penso a quei tempi, al vigneto di allora, uve pregiate vendute alla cantina sociale dei castelli romani per il tipico e rinomato vino dei castelli, mi sembra di scorgerli laggiù intenti a “scacchiare la vigna” in una stagione, a pigiare l’uva nei “bigonzi” per caricarla nei carretti durante la vendemmia nell’ancora estivo settembre.
Ripenso a quando, all’inizio degli anni settanta, mio nonno decise di mettere a dimora un uliveto, piante scelte e pregiate ordinate con cura e sapienza nei vivai della Toscana e piantati in file, Leccino, Itrana, Ascolana; questi sono i nomi delle nostre olive, il cui buon olio puro verde è presente ancora oggi sulla nostra tavola. E’ suggestivo passare alcuni giorni di novembre a raccogliere le olive, in allegria, ora con i miei genitori, e quest’anno anche con i nipoti, in quel paesaggio che sembra quasi staccato dal tempo, da un caos di smog fatto di città che non ci appartengono. Quando ti trovi in quella terra è come fermare le lancette del tempo e ritornare ad antichi riti, manuali e puri.
Sono stata da sempre abituata a mangiare i succosi frutti di questa generosa terra, noi li chiamiamo ad oggi ecologici, poiché quasi del tutto privi di ogni trattamento.
Questa terra ci offre pomodori, rossi densi e buonissimi, pesche,pere, i fichi, i kiwi, more cachi e le saporite fave, assaporate, magari, con un pezzetto di pecorino e un buon bicchier di vino locale.
Gode il palato nel mangiare molti di questi frutti direttamente raccolti dalla pianta.
Mi domando perché tradirla, perche distruggerla per sempre? Con una strada che buca la costa, toglie di mezzo alberi secolari, una lingua d’asfalto che per sempre stradica dalla loro terra questi fieri olivi, che non ci saranno più. E quando qualcosa non c’è più è un lutto per tutti. Una perdita che diventa incolmabile ed assurda, dettata da un progresso cieco e opportunista che ferisce una terra ancora agricola, ancora piena di vita.
Quando un albero viene abbattuto, dice un vecchio adagio, una parte dell’uomo muore per sempre, e tutti abbiamo perso qualcosa. Soprattutto offende vedere questo scempio nell’ignorante indifferenza. Non si perde solo la terra dei miei antenati, nel presente, ma perderanno qualcosa anche i posteri, chi verrà dopo. Per la miopia di chi ha come unico interesse solo il denaro, che proviene dalla costruzione di altri agglomerati urbani serviti da una strada inutile e dispendiosa, invece di rafforzare le altre già esistenti ma che necessitano di manutenzione e di ampliamenti.
Noi siamo solo amministratori, la terra non è nostra, ma fintanto che ci siamo, credo che abbiamo l’obbligo morale di custodirla al meglio per passarla come una sorta di testimone alle future generazioni. Mi piace pensare che nell’animo dei miei nipoti si sia instillato questo amore per questa nostra terra così in pericolo. Vorrei che domani, i nostri figli possano ancora sporgersi sul ponte monumentale, respirare a pieni polmoni e rilassarsi di fronte a questa verde vallata agricola, osservando il sole che scende giù in una giorno d’inverno e che si tuffa nella linea blu tratteggiata dal mar Tirreno.
Io credo che il buonsenso prevarrà e che tanti, siano dalla nostra parte, pensando che la vita è anche quello che di bello i nostri sensi possono percepire, è anche uscire dalla mentalità consumistica che tutto divora, e che ha rispetto solo del dio più effimero ma dannoso di tutti, il dio denaro.
Silvia Caldoni.

http://issuu.com/eco16/docs/eco_corr16_31_12_2010
ECO 16 31 12 2010