giovedì 23 giugno 2011

Articolo pubblicato su Albano Team N. 65 - Giugno 2011

L'articolo integrale:
Quando Albano Città era Arbano Paese
Il 26 maggio nella splendida cornice della Sala consigliare di Palazzo Savelli in Albano, con il patrocinio del Comune e del Complesso Bandistico “Città di Albano” Cesare Durante si è svolta la manifestazione che ha visto scoprire la lapide con una poesia del nostro scrittore di Albano, Aldo Onorati.
L’evento è stato introdotto da Bruno Benelli, volto famoso per i suoi interventi televisivi sulle pensioni ed albanense doc, amico di Aldo, da Maurizio Sementilli che ha ricordato la sua amicizia con Onorati risalente alla prima infanzia quando abitavano in via dell’Abbazia di San Paolo, la strada centrale del Tridente, cuore pulsante ed Antico di Albano. I “Sampaveli” ospitavano un popolo a se, gli “arbanesi” storici produttori di vino e broccoli.
È stato donato ai partecipanti un libro arrichito delle introduzioni di Benelli e di Maurizio Sementilli, con all’interno tutti i soprannomi dei nostri nonni e bisnonni, tanto che leggendoli ad alta voce, mio padre ancora si raffigurava chi fossero, mi diceva “ah si quello era er calzolaro” “si si quello era la guardia comunale” “quello era il suocero di…” ritrovando anche lui nella sua memoria frammenti di quella Albano che non c’è più. Lui che ha conosciuto i “vignaroli” e “o caretto do sumaro” e che aveva dai miei bisnonni la vigna a Vallericcia, come ci ricorda Onorati, terra delle patate buone perché umida. Ho riletto insieme a lui i detti contenuti nel libro, e tanti sono tornati in mente, come per esempio “a posato e recchie” per dire che non c’era più, “è ito a zampepellaria” per dire che aveva fallito, oppure “n’ha fatte più isso che Carlo in Francia” per dire che è un avventuriero, “O sordo der compare” che fa il sordo per convenienza, oppure e questa me la ricordo da mio nonno, “è birbo jotto e mardevoto” che sono i tre vizi capitali dell’arbanese: furbo ghiotto e miscredente. Non avevo mai capito un motivetto che fischietta spesso, ieri l’ho scoperto è una canzone di Albano “L’arbanese simpatica e cara”, eseguita dalla banda, di cui nel libro è riportato anche lo spartito.
Concludo con una frase campanilistica del tempo che fu “L’Itaglia comenza a Sa’ Rocco e fenisce a a Stella”.
Grazie Aldo Onorati per averci fatto rivivere con lo scritto i sapori, gli odori e la vita di un tempo che fu, aspro, duro, autentico, fatto di osterie e di vignaiuoli, di donne che lavavano alle mole e stendevano appendendo i fili sugli alberi di Piazza San Paolo.
Silvia Caldoni

martedì 14 giugno 2011

Omaggio ad Aldo Onorati


“Quella notte pareva medioevo. La luna piena scendeva a diagonale dai tetti dei vicoli, con una luce lattiginosa che inondava Vallericcia ancora spoglia di case, grigio argento di filari di messi. E sul mare, sembrava che una immensa lampada illuminasse dal fondo delle acque l’ampia distesa. Noi stemmo un po’ sul ponte, a volgere lo sguardo ora verso monte Cavo, ora verso la pianura, ove ancora le industrie non avevano alzato al cielo caliginoso le ciminiere. Erano tutte vigne, con alberi di ulivo e nespoli.
Scoccava mezzanotte, e la luna a picco sugli abbaini di Palazzo di Corte dava l’idea di Castelli medioevali, in quel silenzio profondo dell’estate all’inizio, che ancora non brucia, ma da alla pelle refrigerio per il vento che viene su umido e selvaggio (Aldo Onorati, Albano addio, 1993)”
Come non commuoversi difronte a tanta poesia così soavemente espressa? Per caso mi è ricapitato in mano questo libro del 1993 custodito gelosamente nella mia libreria, così mi sono immedesimata dentro questa descrizione, ed è veramente da brividi per chi conosce il posto, ci passa distrattamente tante volte, e si affaccia dal ponte, ora punteggiato di case industrie e di traffico, solo una generazione fa, a c’erano “filari di messi”, piante di noccioli e strade di terra, forse che in una sera di estate verso la mezzanotte è ancora questo? Senza il traffico romano che cerca il mordi e fuggi della fraschetta? Con l’arguta descrizione di Onorati basta solo chiudere gli occhi, e ci si trova lì immersi nella pace e nella bellezza dei nostri meravigliosi territori, carichi di storia e ricchi di naturale bellezza, patrimonio di tutti.
Silvia Caldoni
Pubblicato su ECO 16 n17 del 10 5 2011

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Celebrazioni in onore dell’imperatore Settimio Severo - Ariccia, Palazzo Chigi



Nella splendida e suggestiva cornice di Palazzo Chigi in Ariccia il 7 maggio si è svolta la manifestazione per illustrare la vita e le gesta dell’imperatore romano Lucio Settimio Severo (Leptis Magna 146 - York 211 d.C.), in occasione della ricorrenza dei 1800 anni della sua morte.
Due gli interventi in programma, Il primo: “Settimio Severo vita e gesta”, Dott. Pino Chiarucci, già direttore dei Musei Civici di Albano e Ispettore Onorario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio; e il secondo: “Leptis Magna alla luce degli ultimi studi”, Prof.ssa Paola Finocchi, Università La Sapienza di Roma.
Noi abitanti dei castelli, ricordiamo Settimo Severo per famosa Legione Seconda Partica, che l’imperatore stesso, fece acquartierare in Albano, suo Castrum, grande protagonista nella storia di Roma, numerosi ruderi in Albano, ancora oggi ne ricordano a noi posteri l’esistenza.
Il dottor Chiarucci ha chiesto agli intervenuti di immergersi in un passato remoto, viaggiare indietro nel tempo di 1800 anni, ed immaginare la Roma imperiale ed in quei tempi di immaginare una figura arguta intelligente, non alta di statura ma dall’intelletto e l’intraprendenza molto raffinata: Settimio Severo, la sposa Giulia Domna, conosciuta nella campagna di Siria, con la quale avrà due figli Lucio Settimio Bassiano (Caracalla) e Publio Settimio Geta. Famiglia che lo segue in tutti viaggi che intraprende, dimostrandosi, una famiglia, almeno agli inizi, unita e felice.
L’ascesa di Settimio Severo inizia nel 191 quando assume il comando militare in Pannonia e dopo la morte di Pertinace acclamato dalla legioni in Britannia e Gallia, viene nominato “Cesare”. Nel 194 sconfigge in Oriente l'altro rivale Pescennio Nigro. Dal 195 al 198 Intraprende due brevi campagne contro i Parti, costituisce per l'occasione tre legioni romane (Legioni Partiche) con le quali conquista parte della Mesopotamia.
Dopo la guerra, la II legione partica ritorna in Italia, e si accampa, ai Castra Albana, l’allora Albalonga, (Albano Laziale), diventando così la prima legione stanziata in Italia in due secoli.
Settimio Severo durante tutta la sua vita fu infaticabile condottiero e soldato, negli ultimi anni, malgrado la gotta e l’artrite reumatoide di cui era affetto, segue le sue legioni, trasportato anche in lettiga. Caracalla ben presto, per avidità dimostra di voler prendere il potere complottando per far assassinare sui padre. Scoperto, Settimio Severo lo affronta a viso aperto chiedendogli di ucciderlo, ma Caracalla ha un ripensamento, e lascia in vita il padre. Quando Settimio Severo muore in Britannia durante l’ennesima campagna militare, il 4 febbraio 211, Caracalla e Geta vengono proclamati insieme imperatori e ritornano a Roma, l’anno seguente mentre Geta cerca scampo, viene ucciso da suo fratello tra le braccia della madre Giulia Domna.
La seconda parte dell’incontro, tenuta dalla Prof.ssa Finocchi è stata più tecnica, ed ha riguardato Leptis Magna, città natìa di Settimio Severo, alla quale fu sempre legato, e vi tornò molte volte. Si ricordano ad opera e per volontà di Settimo Severo: l’Arco, il Foro dei Severi e La Basilica dei Severi, di cui si sono trovati vari reperti e ruderi ancora oggetto di studio e di ricostruzione storica.
Silvia Caldoni

Pubblicato su: ECO 16 n17 del 10 5 2011

mercoledì 13 aprile 2011

Pagina Facebook su Vittoria Caldoni

Nasce la Pagina Facebook su Vittoria Caldoni, dove si possono postare notizie e leggere gli aggiornamenti!

http://www.facebook.com/pages/Vittoria-Caldoni/201564936532947?ref=ts&sk=wall

venerdì 8 aprile 2011

Articolo su Vittoria Caldoni


Vittoria Caldoni: una vita d'arte e d'amore

Il 23 marzo ho avuto il piacere di assistere alla Conferenza "Vittoria Caldoni: una vita d'arte e d'amore", Sala Nobile - Palazzo Savelli in Albano Laziale, tenuta da Rita Giuliani, Professoressa straordinaria di Lingua e Letteratura russa, presso il Dipartimento di Studi Filologici e letterari dell’Università la Sapienza di Roma. Con estrema dovizia di particolari e con vera passione ha esposto la vita di Vittoria Caldoni, una ricchezza che riaffiora dagli argini del tempo delle nostre terre. Ma chi è Vittoria Caldoni e perché suscita tanto interesse?
Vittoria Candida Rosa, nasce ad Albano il 6 marzo 1805, sesta di nove figli, (sei femmine e tre maschi) e muore in Russia dopo il 1872. Figlia di un vignaiolo di Albano (Antonio Caldoni), intorno ai quindici anni viene scoperta per la sua bellezza. Nota in tutta Europa, posa per i più famosi pittori degli anni ’20 e ’30 dell’Ottocento incarnando l’ideale della bellezza popolare italica. È ritratta da famosi artisti che soggiornarono a Roma al tempo del Grand Tour, come Bertel Thorvaldsen, Horace Vernet, Friedrich Overbeck, August Heinrich Riedel, Franz Ludwig Catel, Heinrich Maria von Hess, Julius Schnorr von Carolsfeld e Horace Fernet. È modella anche a scultori del calibro di Bertel Thorvaldsen, Johann Gottfried Schadow e Pietro Tenerani. Protagonista di una cinquantina di opere, tra disegni, quadri e sculture, anche il poeta Goethe possedeva a Weimar suo ritratto.
Fino a qui abbiamo solo note storiche, la professoressa Giuliani, ha trovato di più anche tratti del suo carattere umile e modesto, ma di rara bellezza. Tutto questo è esposto nel suo libro: “Vittoria Caldoni Lapčenko , la "fanciulla di Albano" nell'arte, nell'estetica e nella letteratura russa , Roma 1995, ricchissimo di immagini e di aneddoti circa la sua vita.
Per ripercorrere le sua vita è necessario immedesimarsi nella vita di Albano dei primi del 1800, uscita dal centenario dominio della famiglia Savelli, e passata sotto il Regno Pontificio. In quegli anni per la bellezza da incanto della natura e dell’ospitalità Albano era meta di pittori provenienti da Roma ed originari di tutta Europa. Ci sono decine di quadri che ispirati alle nostre zone fanno respirare con indicibile nostalgia di quella bellezza ormai perduta. È in questi dipinti che spicca una ragazza di rara bellezza: Vittoria. Verso il 1821 Johan F. Overbeck su commissione dell’allora mecenate e principe ereditario Ludwig di Baviera, volle raffiguare la “bella vignaiula” di Albano nel tipico costume locale, con ai piedi umili strumenti di lavoro dei campi, seduta all’ombra di una pianta e con l’aspetto di un’eroina antica. (Così ladescrive un nostro concittadino, Alberto Crielesi, nel suo libro “Albano dimenticata”). Va detto che Ludwig di Baviera era ammaliato dalla bellezza di Vittoria, e ne collezionò numerosissimi quadri, che sono ora esposti nella Pinacoteca di Monaco.
Nel suo ritratto si provano anche pittori francesi, (Vernet, dell’accademia francese delle belle arti). Qualcuno prova a descrivere la bella Vittoria di Albano che per l’armonia delle proporzioni e la purezza delle forme, oltrepassava talmente tutte le altre opere d’arte di Roma da rimanere inarrivabile per tutti gli artisti che tentano di ritrarla. Kestner impiegò otto anni per realizzare un ritratto di Vittoria che lo soddisfacesse almeno in parte, ci racconta la professoressa Giuliani.
La parabola artistica di Donna Vittoria si conclude con il matrimonio, avvenuto forse nel 1839, ma non è chiaro poiché all’epoca, nello stato papalino, non erano ammessi matrimoni tra cattolici e ortodossi, quindi tra Vittoria ed il pittore Gregorj Lapčenko, russo. Forse, ipotizza la Giuliani, partirono senza sposarsi per poi convolare a nozze al loro arrivo il Russia qualche tempo dopo. Ebbero due figli, di cui uno morì in giovane età. Suo figlio ebbe a sua volta due figli, un maschio ed una femmina, la quale morì nel 1939 nell’assedio dei nazisti a Pietroburgo. Anche il nipote, che venne in Italia per conoscere i cugini, si sposò ma non ebbe figli. E così il ramo di Vittoria si estinse. Come discendente della medesima famiglia, Caldoni di Albano, ringrazio la professoressa Giuliani per il lavoro fatto e la passione che la anima. Sarebbe interessante portare questi seminari anche alle scuole locali, per conoscere la nostra storia ed i nostri personaggi famosi.
Si sta organizzando una mostra delle opere su Vittoria ad Ariccia a breve, quindi alla fine dell’intervento la Professoressa ha esortato chiunque possieda quadri o stampe a darne notizia così da arricchire la mostra.
Silvia Caldoni

http://ecodiariccia.blogspot.com/2011/04/eco-16-n-13-del-5-aprile-2011.html?spref=bl

ECO 16 n 13 del 5 aprile 2011

lunedì 28 marzo 2011

Vallericcia un luogo da salvare



Vallericcia un luogo nei miei ricordi
Vallericcia è una vallata sita ai piedi della città di Ariccia e ricade nel suo territorio comunale, la valle è stata originata da un antico bacino lacustre formatosi con le vicende del Vulcano Laziale prosciugato in età romana e medioevale. A Vallericcia si trovano i resti della città latina di Aricia. Anticamente la depressione di Vallericcia era occupata, almeno parzialmente, da un lago vulcanico, simile ai due vicini laghi di Albano e di Nemi. L'ipotesi è confermata dalla periodica ricomparsa di un bacino lacustre nella parte più depressa della valle, in località Pantanelle. Un lago o pantano è menzionato in alcuni atti notarili del 1223, del 1462 e del 1630, mentre lo storico e canonico settecentesco Emanuele Lucidi afferma che il 17 gennaio 1793 con grande sorpresa degli ariccini comparve un laghetto in Vallericcia, originato dall'intasamento di alcuni canali di scolo e sgombrato il 4 febbraio dello stesso anno.
Per evitare l'allagamento della valle già in età antica fu scavato un sistema di canali di scolo nella valle che portavano tutti ad un emissario posto in località Ginestreto che liberava le acque verso il mar Tirreno in direzione sud-ovest. Alcune fonti del 1600 sostengono che queste acque formavano il leggendario fiume Numico, che bagnava Lavinium, antica capitale latina fondata da Enea ed identificata comunemente con Pratica di Mare. A Vallericcia sfocia anche l'emissario del lago di Nemi, scavato anch'esso in età antica ma non accomunabile con la perfetta tecnica costruttiva dell'emissario del lago Albano.
La valle nel punto più stretto è anche attraversata dal famoso Ponte monumentale di Ariccia.
Passeggiando sul ponte monumentale si gode ad ovest un paesaggio mozzafiato che si stende su questa valle agricola, Vallericcia, e poi giù fino al mare, si può sostare interminabili minuti a guardare fin dove l’occhio si perde e vagano i pensieri, come ad osservare un quadro, in una specie di sindrome di Stendhal.
Non posso fare a meno di fermarmi qualche minuto ogni volta che attraverso quel ponte a piedi. E lì respirare il fresco dell’aria che proviene da quella striscia blu che si stende all’orizzonte appena dopo la costa.
Poi torno con lo sguardo su questa valle, agricola per destinazione, punteggiata qua e la di case e con tante parti coltivate; ecco laggiù un vigoroso vigneto, un ricco orto, una piantagione di saporiti broccoli, e più in qua sulla destra del nostro ideale skyline, vicino a quella casa inerpicata e abbracciata sul costone, un uliveto, quello dei miei genitori, dei miei nonni ed ancor prima dei miei bisnonni; questo fazzoletto di terra appartiene alla mia famiglia dal lontano 1903. E’ qui che la mia mente corre indietro nel tempo, vedo i miei bisnonni alzarsi la mattina presto malgrado il freddo pungente dell’inverno, penso a quei tempi, al vigneto di allora, uve pregiate vendute alla cantina sociale dei castelli romani per il tipico e rinomato vino dei castelli, mi sembra di scorgerli laggiù intenti a “scacchiare la vigna” in una stagione, a pigiare l’uva nei “bigonzi” per caricarla nei carretti durante la vendemmia nell’ancora estivo settembre.
Ripenso a quando, all’inizio degli anni settanta, mio nonno decise di mettere a dimora un uliveto, piante scelte e pregiate ordinate con cura e sapienza nei vivai della Toscana e piantati in file, Leccino, Itrana, Ascolana; questi sono i nomi delle nostre olive, il cui buon olio puro verde è presente ancora oggi sulla nostra tavola. E’ suggestivo passare alcuni giorni di novembre a raccogliere le olive, in allegria, ora con i miei genitori, e quest’anno anche con i nipoti, in quel paesaggio che sembra quasi staccato dal tempo, da un caos di smog fatto di città che non ci appartengono. Quando ti trovi in quella terra è come fermare le lancette del tempo e ritornare ad antichi riti, manuali e puri.
Sono stata da sempre abituata a mangiare i succosi frutti di questa generosa terra, noi li chiamiamo ad oggi ecologici, poiché quasi del tutto privi di ogni trattamento.
Questa terra ci offre pomodori, rossi densi e buonissimi, pesche,pere, i fichi, i kiwi, more cachi e le saporite fave, assaporate, magari, con un pezzetto di pecorino e un buon bicchier di vino locale.
Gode il palato nel mangiare molti di questi frutti direttamente raccolti dalla pianta.
Mi domando perché tradirla, perche distruggerla per sempre? Con una strada che buca la costa, toglie di mezzo alberi secolari, una lingua d’asfalto che per sempre stradica dalla loro terra questi fieri olivi, che non ci saranno più. E quando qualcosa non c’è più è un lutto per tutti. Una perdita che diventa incolmabile ed assurda, dettata da un progresso cieco e opportunista che ferisce una terra ancora agricola, ancora piena di vita.
Quando un albero viene abbattuto, dice un vecchio adagio, una parte dell’uomo muore per sempre, e tutti abbiamo perso qualcosa. Soprattutto offende vedere questo scempio nell’ignorante indifferenza. Non si perde solo la terra dei miei antenati, nel presente, ma perderanno qualcosa anche i posteri, chi verrà dopo. Per la miopia di chi ha come unico interesse solo il denaro, che proviene dalla costruzione di altri agglomerati urbani serviti da una strada inutile e dispendiosa, invece di rafforzare le altre già esistenti ma che necessitano di manutenzione e di ampliamenti.
Noi siamo solo amministratori, la terra non è nostra, ma fintanto che ci siamo, credo che abbiamo l’obbligo morale di custodirla al meglio per passarla come una sorta di testimone alle future generazioni. Mi piace pensare che nell’animo dei miei nipoti si sia instillato questo amore per questa nostra terra così in pericolo. Vorrei che domani, i nostri figli possano ancora sporgersi sul ponte monumentale, respirare a pieni polmoni e rilassarsi di fronte a questa verde vallata agricola, osservando il sole che scende giù in una giorno d’inverno e che si tuffa nella linea blu tratteggiata dal mar Tirreno.
Io credo che il buonsenso prevarrà e che tanti, siano dalla nostra parte, pensando che la vita è anche quello che di bello i nostri sensi possono percepire, è anche uscire dalla mentalità consumistica che tutto divora, e che ha rispetto solo del dio più effimero ma dannoso di tutti, il dio denaro.
Silvia Caldoni.

http://issuu.com/eco16/docs/eco_corr16_31_12_2010
ECO 16 31 12 2010